A guardarlo, seduto lì nell’angolo mentre sorseggiava birra
e SevenUp, pareve che una parte di lui fosse rimasta in quel posto oltre l’Oceano:
non nel senso sentimentale che potreste immaginare ma in un modo più clinico. Il suo sguardo, così come tutto
il suo corpo, sembravano alla costante ricerca di un contatto con qualcosa che
non era più lì, come se parte del suo cervello fosse stata ancora intenta a
vagabondare per quelle strade nere di catrame, incurante di aver perso il
proprio corpo. Disgiochei era tornato scemo.
Non si capiva bene cosa ci venisse a fare lui al bar: non
giocava, non fumava, non parlava, non leggeva. Lui semplicemente “stava”. Stava
come stanno i pesci in un acquario, che per quanto facciano di tutto per
sembrare occupati, tu lo sai che non fanno un cazzo.
Quel pesce fuor d’acqua sorseggiava il suo intruglio
dolciastro che pareva non dovesse finire mai e intanto, forse, allenava le sue
doti paranormali.
Un giorno si sparse la voce che si era sposato con la
badante bielorussa della moglie dell’ex farmacista. Non so come l’avesse
sedotta, con le sue tasche vuote, le sue squame sbilenche e il suo mezzo
cervello vagabondo; ma, da quel giorno, il suo sguardo distratto non ha più
nulla dell’irrequietezza dell’attesa.
Ora, in uno strano modo esclusivamente loro, si potrebbero
quasi definire felici. Ora, semplicemente, “stanno”.